A pochi giorni dalle inaspettate dimissioni da ct della Nazionale, Roberto Mancini si sbilancia ulteriormente rispetto al primo post pubblicato sul suo profilo Instagram, in cui parlava di “scelta personale. La sua è stata certamente una presa di posizione autonoma, ma dettata da un ambiente circostante che non sentiva più suo e che non gli permetteva più di esprimersi al meglio.
Anzi, lui non ritiene nemmeno sia un grave problema averlo fatto a poco più di tre settimane dai prossimi impegni ufficiali degli azzurri. La Federazione, a suo dire, ha tutto il tempo necessario per scegliere il suo sostituto. Se si deve però indicare il principale responsabile di questo suo modo di agire non ci sono dubbi, è possibile fare nome e cognome: Gabriele Gravina, presidente della FIGC.
Parlare a freddo a volte permette di scegliere in maniera più oculata quanto dire, ma questo nel caso di Roberto Mancini sembra essere vero solo in parte. L’ormai ex ct, infatti, sembra essere uno che è rimasto in silenzio troppo a lungo, proprio per questo ora sente il bisogno di manifestare la sua insofferenza.
“Ho cercato di spiegare le mie ragioni a Gravina- attacca Mancini con “Repubblica”- gli ho detto che avevo bisogno di tranquillità, non me l’ha garantita e quindi mi sono dimesso. Non ho fatto niente per essere massacrato”. Il riferimento, evidentemente nemmeno troppo velato, è alle critiche pesanti che lui ha ricevuto in più occasioni da parte di gran parte della stampa.
Non c’è grande pentimento nemmeno sulla tempistica su cui il suo passaggio è avvenuto: “Dovevo farlo prima? Può darsi. Ma io ho lasciato la Nazionale a 25 giorni dalla prossima partita, non tre. E penso di essere sempre stato corretto in questi anni”.
Un peso importante nella sua decisione lo hanno certamente i diversi cambiamenti al suo staff (Evani e Lombardo su tuti), cosa che lui ha preso come una mancanza di fiducia nei suoi confronti: “Di tutto, certo. Si è mai visto un presidente federale che cambia lo staff di un ct? Gravina è da un anno che voleva rivoluzionarlo, io gli ho fatto capire che non poteva, che al massimo poteva inserire un paio di figure in più, ma che non poteva privarmi di due persone di un gruppo di lavoro che funzionava, che funziona e che ha vinto l’Europeo. Semmai sono io che potevo sostituire un membro dello staff. Sapete la verità?. È da un pò di tempo che lui pensava cose opposte alle mie. Ma allora perché intervenire sullo staff? Cosa c’entra? A quel punto doveva mandare via me. Invece ha colto l’occasione perché alcuni miei collaboratori erano in scadenza e ha giocato su questo. Io potevo essere più duro, certo, ma pensavo lo capisse da solo”.
Il tecnico lamenta anche un appoggio nei confronti della sua figura decisamente scarso, se questo fosse avvenuto forse il suo modo di agire sarebbe stato differente: “Io sono sempre stato corretto. Che quando sono arrivato in azzurro ho rinunciato a opportunità più redditizie, ho fatto una scelta ed è stato il lavoro più importante della mia vita. Ho vinto un Europeo, non sarà molto ma intanto l’abbiamo vinto. Se Gravina avesse voluto, mi avrebbe trattenuto. Non l’ha fatto. Mi sarebbe bastato un segnale, non me l’ha dato. La verità è che non ha voluto che restassi, e che erano mesi che c’era questa situazione. Però Gravina verrà ricordato come il presidente che ha vinto l’Europeo, non per gli errori che ha fatto”.
Nel suo contratto c’era inoltre una clausola, emersa recentemente, che avrebbe potuto portare al suo esonero in caso di mancata qualificazione a Euro 2024, pensare di toglierla avrebbe potuto cambiare le cose: “Poteva essere un segnale. Lo avevo chiesto per lavorare tranquillo in questi mesi, tutto qui, è chiaro che sarei andato via se le cose non fossero andate bene e non fossimo riusciti a qualificarci” – ha concluso.
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