Mondo dello sport sconvolto dalla morte di un leggendario allenatore: amato ma anche molto dicusso, ha rappresentato un punto di riferimento
Il mondo dello sport è popolato di grandi allenatori vincenti, ma non tutti sono stati carismatici. E quando uno di loro scompare, dopo aver lasciato tracce indelebili nella sua disciplina, rimane sempre il sapore del rimpianto.
Nelle ultime ore è una sensazione che ha vissuto anche il pianeta del basket, per la scomparsa a 83 anni di Bobby Knight, un nome che ha scritto la storia della pallacanestro mondiale, non solo quella del college americano che per oltre 40 anni è stata il suo mondo. Chi oggi ha 20 anni difficilmente lo conosce, a meno che non abbia mangiato pane e parquet fin dalla sua nascita. Ma chi segue la storia dello sport sa bene quello che ha rappresentato.
Aveva deciso presto cosa fare nella vita e in effetti a 24 anni aveva già il fischietto al collo con una missione precisa: educare al basket, costi quel che costi. Una passione naturale, per chi come lui era nato in Indiana che è la vera patria di questo sport perché lì è cominciato tutto. Così era diventato il capo allenatore di Army, perfetta per le sue concezioni dello sport che prima di tutto doveva essere disciplina. Sette anni lì, allenando tra gli altri anche Mike Krzyzewski che è diventato molto più vincente di lui alla guida di Duke. Poi nel 1971 l’inizio della vera leggenda, quando fu scelto dagli Indiana Hoosiers.
Si è spento il leggendario allenatore, ha scritto pagine uniche nel mondo del basket
In tutto tre titoli Ncaa che però sono soltanto una parte di quello che ha seminato e raccolto. Bastano i numeri per spiegarlo. Ben 42 anni di carriera come head coach universitario conclusi con 902 vittorie e una stagione perfetta nel 1976 quando la sua squadra arrivò al titolo non perdendo nemmeno una partita. Ma anche un oro olimpico a Los Angeles 1984 con gli Stati Uniti. In quella squadra c’era un giovanissimo Michael Jordan insieme ad altri che sarebbero diventati stelle nella Nba, come Chris Mullin e Patrick Ewing. Allora tutti universitari perché il Dream Team non era ancora nato, per una squadra irripetibile.
Jordan lo sopportò per un paio di settimane, sicuro che poi non lo avrebbe più rivisto. Larry Bird invece, un figlio dell’Indiana come Knight, non seppe resistere e scappò da quella che doveva essere la sua università dei sogni.
Perché accanto all’immagine vincente del coach c’è anche la sua storia fatta di durezze e intransigenze. Nessuno sconto, nemmeno per quelli che sarebbero diventate stelle della Nba. Uno spogliatoio come una caserma e non a caso era “The General”. Certamente un allenatore innovativo, ma altrettanto certamente odiato da molti per i suoi metodi che per qualcuno erano paragonabili alle torture.
Dopo il licenziamento da Indiana University per aver maltrattato uno dei suoi atleti, ha allenato a Texas Tech. Altre otto stagioni fino al 2008 prima di arrendersi alla malattia, quella demenza senile che lo ha molto limitato negli ultimi anni di vita. Alla fine però la sua grandezza l’hanno riconosciuta tutti.