Vedere crollare un sogno che si aveva sin da bambino, come accade solitamente agli sportivi, non è mai semplice, specialmente quando questo accade in modo inaspettato e si è convinti di essere vittime di un0ingiustizia. È quello che è accaduto ad Alex Schwazer, fermato per doping fino al 2024 ma assolto dalla giustizia penale italiana per questa accsusa. Ben diversa è invece sempre stata la posizione della giustizia sportiva e della WADA.
A distanza di qualche anno, lo sportivo aveva comunque ammesso le sue colpe: “Ero un tossico, andavo in Turchia per doparmi – aveva raccontato nella sua autobiografia ‘Dopo il traguardo’ -. Innsbruck-Vienna, Vienna-Antalya. A Carolina Kostner e ai miei genitori ho detto che sarei andato a Roma, alla Fidal. Ho tenuto il cellulare acceso anche di notte, per evitare che partisse il messaggio della compagnia telefonica turca. Ragionavo già da tossico. O meglio, sragionavo. Ed ero pronto a mentire, perchè doparsi vuol dire anche mentire”. E a breve è in arrivo una serie Netflix per raccontare la sua vicenda.
Ora Schwazer è tornato a parlare in Tv esprimendo apertamente quanto siano stati difficili gli ultimi anni per lui, specialmente perché la presunta nuova positività che gli è costata la manifestazione in Brasile, non è mai stata riscontrata dalla giustizia italiana.
“Quasi sette anni fa mi trovavo in una stanza d’albergo a Rio de Janeiro, ero pronto – ha esordito Schwazer -. Pronto a tornare a marciare alle Olimpiadi, otto anni dopo Pechino e dopo la squalifica per doping. Era la gara del mio riscatto, la gara per cui mi preparavo ogni giorno da due anni, dando ogni giorno il massimo. Eppure, non ho potuto farla. I giudici del tribunale internazionale dello sport mi hanno ritenuto colpevole e mi hanno impedito di scendere in strada a marciare. Quasi 5 anni dopo, un tribunale ordinario italiano mi ha scagionato da ogni colpa per non aver commesso il fatto”.
L’ex corridore non può che sentirsi vittima di un’ingiustizia, soprattutto perché gli è stato impedito di prendere parte a una gara a cui lui teneva tantissimo, ma nonostante la sua carriera sia pressoché finita lui continua a sentirsi legato a quello che considera il suo mondo: “quella gara avrei potuto e dovuto farla. Ho subito un’ingiustizia che purtroppo non si potrà più rimediare e oggi mi dovrei sentire un ex atleta, ma la verità è che io non mi sono mai sentito tale, perché se senti una passione dentro di te, allora nessun episodio te la potrà togliere: resiste a tutto”.
Rimpianto e dospiaceri restano fortissimi: “Una madre non smette mai di essere una madre, e un atleta non smette mai di essere un atleta – ha detto -. A volte, quando seguo uno dei miei negli allenamenti, la mia testa si prepara, si allena e gareggia. La giustizia sportiva non mi ha permesso di vivere fino in fondo il sogno di tornare alle gare, ma il mio sogno continua ad esserci dentro di me, ed io continuo ad inseguirlo, con o senza gare”.
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